L’Avversario a cura di A. Oteri, Teatro Sala Uno

Lo spettacolo è tratto da un caso di cronaca, accaduto in Francia nel 1993, che sconvolse per la sua incommensurabile efferatezza, la tranquilla cittadina di Prevessin, nella regione di Gex, 5000 anime che si conoscevano tutte, e che non avevano bisogno di indagare nella vita degli altri, perché la vita di ciascuno era  limpida, chiara, lineare. Fino al 9 gennaio del 1993.

Ricucire, ricomporre e anche solo misurarsi con questa storia ci ha messi di fronte all’impossibilità, per la tragicità dei fatti, di assumere un punto di vista. Un punto di vista che potesse andare al di là del giudizio morale o di una spiegazione psicologica, e che potesse anche solo e semplicemente collocarsi, da qualche parte, fosse anche quella del tentativo di comprendere, indagare, raccontare. Il primo input sono state così le carte processuali, le testimonianze (molte delle quali rintracciabili nel libro di Emmanuel Carrère, che sulla storia ha scritto il suo L’avversario), ma ridurre la mole così potente e incomprensibile di tutta la vicenda a un plot in cui protagonisti e testimoni potessero avere un nome e una conseguente riscrittura drammaturgica e attoriale, si è rivelata per noi una via sterile, non percorribile.

 

Così abbiamo lavorato, a fatica, sulle sensazioni. A fatica perché l’epilogo era sempre lì: devastante, incomprensibile. Si correva ad ogni passo un rischio: la retorica, il tentativo di comprensione e giustificazione psicologica, la cornice sociale, la condanna morale. Restava solo una via, o perlomeno così sembrava a noi, dilatare il più possibile lo spazio e il tempo di una vicenda incomprensibile in una dimensione che potesse frammentarne il senso in molteplici riscritture: nella cronaca, nello spazio immaginario della mente di Jean Claude Romand, nella tranquilla cittadina di Prevessin, nell’identità reale e raccontata dei molti protagonisti dell’intera storia.

Perché questa non solo è una storia difficile e forse impossibile da raccontare, per gli interrogativi che apre e che solo apparentemente sembrano poter essere liquidati nell’ambito di una dissociazione psicotica: è una storia che si colloca ai margini di un abisso, ancora più inquietante, perché possibile.

Torna in alto