Il comunismo spiegato ai malati di mente
Matei Visniec
Centrale Preneste

 

 

Dal programma di sala

La parola comunismo è spesso associata ad un'altra: Utopia.
Aprite bene la bocca, riempite i vostri polmoni d'aria e ditelo ancora:  Utopia!  E’ una parola che descrive una curva crescente, è come un cavallo che si impenna: Utopiiiiia, sentite come sale? Come sale e abbraccia il cielo?
È con questo esercizio che lo scrittore Yuri Petrovsky comincia la rieducazione di alcuni malati di mente.
L'azione si svolge presso l'Ospedale Centrale per i Disturbi Mentali a Mosca nel 1953, alcune settimane prima della morte di Iossif Vissarionovitch Dzugasvili, più noto con lo pseudonimo di Josef Stalin, ovvero uomo d'acciaio.

Lo scrittore Yuri Petrovsky viene mandato in ospedale per usare "l'arte e la letteratura" per riscattare i malati di mente.
L’assurdo sta nella cura stessa, ovvero raccontare loro la storia del comunismo in un modo in cui possano capirla ed essere così salvati dalla visione "utopica" del futuro. [continua]

 

Il grottesco sta nella modalità: è solo attraverso un discorso reazionario, sovversivo e contro-rivoluzionario che potremo smascherare gli elementi reazionari, sovversivi e controrivoluzionari presenti in ospedale.

Il limite sta nel fatto che la storia che viene raccontata è parziale e limitata alle gesta di Lenin e Stalin, dimenticando che l'uomo primitivo probabilmente è riuscito a sopravvivere soprattutto perché si è organizzato in comunità, e, prima che la legge del più forte cominciasse a prendere il sopravvento nella natura umana, la forma organizzativa più funzionale che gli ha consentito di sopravvivere difendendosi dai più forti aveva sicuramente molto a che fare con le forme di comunismo.

I problemi nascono, tuttavia, quando all’interno di queste forme di organizzazione prende il sopravvento nell'uomo – spesso in un uomo - l'istinto di sopraffare il proprio simile, homo homini lupis, come il lupo che, per sopravvivere, sbrana il più debole.

E da qui le distorsioni storiche che, in un soffio, trasformano l’utopia della “dittatura del proletariato”, in “dittature sul proletariato”.

Il punto di partenza ci ha introdotti subito nella complessa architettura e nei diversi piani di sviluppo del testo drammaturgico.
Dunque - continuerà Yuri Petrovsky - che cos'è Utopia?
Ci siamo ricordati che è stato Thomas More ad averla coniata derivandola dal greco e che, successivamente, è stata interpretata dagli studiosi sia come "ou topos" cioè un non luogo, un luogo inesistente, sia come "eu topos" ossia come un luogo felice.

Noi non possiamo sapere quali fossero le vere intenzioni di Thomas More visto che non lo ha lasciato detto, ma per quel che riguarda l'argomento del comunismo la storia ci ha dimostrato, in tutta la sua cruda verità, quanto questa ambiguità sia elemento necessario al suo stesso significato.

Vişniec non a caso parte da qui, da una parola che, anche se nella sua stessa pronuncia “si impenna”, è anche vero che, proprio come un cavallo, dopo l'impennata è destinata a ricadere giù. [continua]

Lo scrittore Yuri Petrovsky inizia quindi la sua storia (molto divertente quanto più si sa di come il comunismo era praticato all'interno del blocco sovietico) come un narratore sovversivo, usando un linguaggio infantile per raccontare gli eventi, con tutte le loro articolate assurdità.

Più in profondità progredisce nella sua narrazione, più profondamente viene catturato dai personaggi e dagli eventi bizzarri che si svolgono all'interno dell' ospedale.

Ci sono partigiani in agguato in ogni angolo, compresa una cabala segreta di "autentici rivoluzionari" mascherati da pazzi (tipici prigionieri politici sovietici) che si riuniscono all'interno dell'ospedale all'insaputa dei medici isterici e delle infermiere avvenenti, facendo da controcanto ad un corpo medico completamente investito nel “culto della venerazione di Stalin” che gli altri rifiutano.

Vişniec non a caso ritorna sulla dimensione utopica qualche scena più avanti costruendovi una metafora potente. Perchè l’utopia comunista, al pari di una imponente e perfetta macchina volante, ha tutte le potenzialità, click, tutti gli elementi per volare in alto, clack, e salire ad abbracciare il cielo, ma l’aereo – ci dice il personaggio del Professore - fa plouf: clic, clack, plouf, click, clack, plouf. Perché questo – dice -  è l’uomo.
La storia dell'aereo è la metafora dell'utopia che, nella realtà, non funziona, ci ha risposto Vişniec stesso.

Quando viene annunciata la morte di Stalin si scatena il caos generale come tutte le vite sostenute dal collasso "Storia del comunismo"
Nella scena finale Stalin stesso vaga fuori dalle finestre dell'edificio. Come un fantasma o un paziente mentale?
Non c’è giudizio morale nell’opera di Vişniec, nel raccontare una storia puntellata di espliciti o impliciti riferimenti storici, perché sono i fatti stessi a parlarci.
Non c’è l’intenzione di una ricostruzione storica, c’è piuttosto il punto di vista poetico, onirico, grottesco e paradossale di chi i regimi comunisti li ha subiti, in anni, non troppo lontani da Stalin e da oggi e in luoghi non troppo lontani dalla Russia leninista e stalinista e da noi.

E soprattutto c’è il punto di vista di un artista che, come molti, per preservare la libertà del suo pensiero aveva due possibilità: farsi internare in un ospedale psichiatrico o fuggire dal proprio paese.

Visniec  ha avuto l’opportunità di fuggire e di poter restituire attraverso il suo teatro libertà di parola e memoria a chi ha sofferto un destino peggiore. Sempre con quello sguardo trasversale, grottesco ed onirico che nella leggerezza indaga la natura più profonda dell’uomo. Mi interessa – ha detto in un’intervista - comprendere la bestia che convive con l’uomo, e perché l’uomo diventa bestia.

(Appunti per il programma di sala : Monica Pierucci, Alessia Oteri)

Foto di scena

 

 

 

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