Al martedi

“Sa chi sa che se sa non sa se sa. Sol chi sa che nulla sa ne sa più di chi ne sa”

pupazza

 

Quando nel 2002 l’amico Paolo mi disse “perchè non provi ad aprire un laboratorio? Io mi appoggio a delle sale in via orvieto, vieni ho le chiavi, hai voglia di vederle? ” per scommessa provai a promuovere un corso.

Feci – artigianalmente – una locandina, e come una che aveva tutto l’esercito italiano alle calcagne (è una battuta, ma di quale testo?) mi misi a appendere locandine a destra e a manca.

Con lo scotch.

Perchè allora non c’era facebook e manca poco neanche internet.

Le locandine si stampavano in A3 dalla copisteria più economica e poi si girava come briganti con lo scotch in tasca. Ma soprassiederei su questo momento amarcord. Che fa sempre anacronistico e tristezza. Cmq: la dicitura era quella Sa chi sa che se sa non sa se sa. Sol chi sa che nulla sa ne sa più di chi ne sa. E giù di scotch e appuntamenti alla famigerata lezione di prova, che stoicamente avrebbe fatto il suo onesto dovere finchè un giorno di non troppi anni fa qualcuno mi disse : Ale, ma perchè le fai ‘ste lezioni di prova? tanto alla fine fai cose che non faremo mai più durante l’anno.

Ci ragionai il tempo di una manciata di scotch e realizzai che in effetti poteva essere vero: tutti a darsi grandi pacche sulle spalle alla lezione di prova e poi alla prima lezione di ottobre tutti a fare cose che della lezione di prova non conservavano neanche la parvenza del ricordo. E parla con il cuscino. E guarda l’ombra.L’ombra? L’ombra, l’ombra!.

Eravamo in quattro. (quattro).  Mi misi traversa e giurai sul mio onore di attacchina con lo scotch in tasca  che avrei portato a termine il mio compito. eravamo quattro? bene. In scena sarei andata anch’io. Io. me medesima. con i ragazzi. tutti sono indispensabili, nessuno necessario. e lo spettacolo si fa. sempre.

con quella tigna atavica ereditata da qualche bisnonna portai i ragazzi all’altrettanto famigerato saggio di fine anno. e andammo in scena. Cinque? Cinque.

poi diventammo metis. diventammo grandi. di quei cinque uno lasciò dopo molti anni, mariagrazia fu meteora e felice primavera, Norma tornò in Argentina. e gli altri  di cui una ero io, avrebbero continuato – tra maternità e meravigliosi figli- ad essere anima di questa creatura eclettica che un giorno avrebbe preso un nome ben più autorevole di aspirantinonattori, sarebbe stata metis,   nel suo significato greco e negli anni di fascinazione teorica e dottorato, metis, la decisione presa prima del momento di agire, la capacità di trasformarsi in goccia d’acqua e  di adattasi alle forme più diverse. Metis, l’intelligenza di Ulisse. 

Tutte cose di cui subivamo (subivo) profonda fascinazione teorica e ignoravamo (ignoravo)  alcuna – reale – disposizione pratica.

ovviamente.

comunque alla fine metisteatro vinse su : romeoegiannina (amatissimo testo di Anouilh, Kairos – c’era già, e un altro termine greco che in questo momento fatico a ricordare, ares mi sembra).

Metis.
Nicchiammo al cambiamento. Perchè che fossimo aspirantinonattori o metis, l’anima era la nostra, di quanti sarebbero andati in scena sempre e comunque.Poi facemmo Inferno. Con quanti conoscevano il senso di quel “sa chi sa”, e delle locandine appese come briganti e con lo scotch in tasca. inferno, e metamorfosi. e guardami.. e febbre.

l’associazione cresceva. e noi lì sul percorso.
diventavamo grandi. 

Ogni punto di arrivo è unicamente un punto di partenza. se lo ricordi. e noi ci troveremo nuovamente qui. per lavorare ancora.

Riaffiora dalla mia – del tutto personale e rivisitata – memoria di immagini e citazioni questo carteggio tra la Duse e d’Amico : (giacchè ovviamente io me lo sono costruito e bello solido il mio Monte Analogo…la critica si danna a scrivere che la storia del teatro del 900 tutt’altro fu che un’utopia di pensatori sul Monte Analogo, laddove io su quel bel monte ce li metto tutti… E Artaud e Mejerchol’d e la Pavlova, e Stanislaviskij: è il mio modo di dialogare con i maestri, e d’altronde uno con i maestri ci dialoga come vuole e alla bisogna, e non sia mai che parliamo di tecnica, parliamo per immagini, Luigi Almirante all’attore Barnabò sul piroscafo che li avrebbe portati in tournèè, all’alba, smemorandosi di fronte al volo dei gabbiani e dicendo vedi è che io io saprei come mettere le ali, è che ancora non ho trovato il modo di attaccarle… e Vachtangov ai suoi attori, mentre – e se ne stava andando a neanche 39 anni – gli palesava tutta la sua delusione perché la sua vitalità era troppa, Voglio che i miei spettacolo siano una festa, e Artaud, nell’ennesimo ricovero coatto, e l’ultimo, con una scarpa in mano, in quella testa che avrebbero ridotto a un’encefalogramma piatto, e Mejerchol’d e sul come e sul perché finì sparato, e Pirandello a braccio della figlia Lietta, e Stanislavskji ancora a provare e a riprovare il suo metodo mentre i diritti dei suoi pensieri se ne sarebbero già stati lì in America, dove sarebbero diventati tomi esaustivi e esplicativi e titoli, utilissimi a chi il teatro lo riduce in pillole, e la Pavlova, e Sharoff, e d’Amico, e la Duse… 

Ogni punto di arrivo è unicamente un punto di partenza. se lo ricordi. e noi ci troveremo nuovamente qui. per lavorare ancora.

Ogni punto di arrivo è unicamente un punto di partenza.

è il nostro punto di partenza.
questo.
siamo diventati Metis.
Siamo diventati grandi.
ma io sono sempre quella con lo scotch in tasca.

benvenuto nuovo anno.

Ogni punto di arrivo è unicamente un punto di partenza.

Alessia

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