Ho come l’impressione, dal Teatro di Matéi Visniec, Rassegna

Io cerco da sempre l’UOMO quando scrivo, ma cado sempre sulle sue contraddizioni, e sempre più spesso su un uomo onda in un mondo onda il cui avvenire è in balia delle onde.    

Matéi Visniec

Studiare Matéi Visniec e avventurarsi nell’operazione per molti versi ambiziosa di portarne in scena 6 testi  equivale a una scommessa continua, una partita da giocarsi ad un tavolo senza regole: il teatro di Visniec è una scatola che ne contiene altre cento, un caleidoscopio che mostra i suoi pezzi di vetro svelandone l’anima e il trucco, i frammenti possono dar luogo a riflessioni multiple, a molteplici possibili letture.

D’altronde l’autore lo scrive, e più volte : questi testi sono come pezzi di uno specchio rotto, moduli teatrali da comporre, amo la scrittura teatrale frammentaria, nessun ordine è imposto dall’autore, al regista una sola costrizione, la libertà assoluta. Se questo vale chiaramente per i testi modulari – da Il teatro decomposto o l’Uomo pattumiera, 1996, all’inedito – in Italia – Dello zerbino spiegato dal punto di vista del riccio, 2020 – la medesima libertà creativa sembrerebbe lasciata anche in quei testi in cui l’intreccio deve seguire necessariamente un percorso lineare, mai come con Visniec ci siamo interrogati sul senso di alcuni passaggi: se molte scene sembrano andare in una direzione, potrebbero ugualmente risolversi rovesciandone del tutto la cifra stilistica. E così – vuoi per la scarsa bibliografia critica a supporto, vuoi per le poche testimonianze sceniche nel teatro italiano – ci siamo spesso affidati all’istinto, lasciandoci travolgere da quel teatro onda che è il teatro di Visniec,  che sembra chiedere, anche nei testi più lineari, lettura e sguardo della regia e degli interpreti. A conferma di quanto scritto le domande che in questi anni abbiamo posto all’autore, domande che Matéi Visniec – nel generoso e affatto scontato privilegio di un confronto – ha spesso evaso rimandando alla nostra libertà interpretativa ogni risposta.  Le foglie di quercia e l’identità di alcune delle donne alla finestra ne Il comunismo, solo per fare un esempio

Abbiamo incontrato il teatro di Matèi Visniec nel 2018, nell’ambito di uno studio che abbiamo dedicato in questi ultimi anni alla drammaturgia contemporanea. Con grande attenzione e generosità – come peraltro Raul Hernandez Garrido, Israel Horovitz, Andreas Flourakis, segno ahimè che certo provincialismo è un fatto tutto italiano – Matéi Visniec ha seguito il nostro lavoro, facendoci dono nel 2019 di alcune scene inedite del suo Occidental Express, e poi nel 2020 di Dello zerbino spiegato dal punto di vista del riccio, testo che abbiamo tradotto dal francese e che proponiamo – sempre in forma di studio – in questa nostra rassegna a lui dedicata.

Un inedito dunque, fatto non secondario, in considerazione della nostra natura, che è laboratoriale. Ma questo episodio, per certi versi minimo è chiaro – data la nostra forza produttiva e la ricaduta teatrale che a questa può corrispondere – ne nasconde uno ben più profondo: poco prima del Covid e più precisamente il 26 febbraio del 2020 avrebbe dovuto tenersi a Roma – all’Accademia di Romania – un incontro con Matéi Visniec e i curatori italiani. Un evento voluto fortemente e proposto all’autore, che invitato da noi a Roma, ci aveva suggerito di contattare l’Accademia e in sinergia organizzare un incontro – coordinato dal Prof. Bruno Mazzoni – in cui avremmo presentato alcuni passaggi della Rassegna che avevamo appena portato in scena (febbraio 2020), e con l’occasione lasciare spazio agli interventi e alle domande del pubblico. Ricordo ancora il nostro entusiasmo, il desiderio di andare in 80 (quali eravamo), la scelta farraginosa sul chi e sul cosa. Quell’incontro non ci fu mai.

A pochi giorni Visniec ci comunicò la sua impossibilità a partecipare poiché in Francia, poco prima che in Italia, la situazione si era fatta più seria, più preoccupante. Ricordo la cortesia e disponibilità del Prof. Bruno Mazzoni, che venne comunque a vedere l’ultimo dei nostri spettacoli in Rassegna, il Comunismo, il 29 febbraio 2020, a Carrozzerie NOT. Poi.

In questi due anni interminabili di pandemia il teatro di Visniec, le sue parole, la sua visionarietà, il suo sguardo, ci hanno accompagnato. Ci siamo ritrovati – spauriti come tutti – a ripensare al Teatro Decomposto: i cerchi, le città deserte: nel 1996 i prodomi di una epidemia c’erano tutti. O meglio ancora c’era il nostro silenzio, la solitudine, il lavaggio dei cervelli, le città deserte, il mare e l’assordante rumore delle sue onde, il mare che purifica e copre e travolge – perché siamo uomini e donne perfettibili e mai perfetti, la perfezione è degli dei e di dio, per chi ha fede –  a noi non resta che scontrarci, o meglio scendere a patti, con la nostra imperfetta umanità.

In questi ultimi due anni interminabili il teatro di Matéi Visniec non ci ha mai lasciato un attimo. Ci ha accarezzato, consolato, ci ha gettato un àncora, per quell’incontro che doveva esserci, per quel poi senza un epilogo,  per quell’oggi che come pioggia appiccicosa ci siamo ritrovati addosso, un telefono che squilla in una città deserta, un telefono che squilla e a cui forse solo chi ha perso lo sguardo sui fatti e mantiene intatto lo sguardo su quanto realmente conta, può rispondere.

Abbiamo scelto di dedicare nuovamente al teatro di Matéi Visniec sei dei nostri nuovi studi. Con tutta l’incertezza del momento. Perché il fatto più grande che si palesa dietro a quello più marginale è la grande umanità e attenzione con cui l’autore ci ha resi parte e partecipi del suo processo creativo, di là da ogni logica di produzione e diritti, parte di una comunità che dovrebbe essere quella degli uomini e delle donne che fanno teatro, che dovrebbe essere quella degli uomini e delle donne in senso meno marginale e più assoluto. Dell’Uomo, semplicemente.

Ho come l’impressione – ha scritto Visniec in una delle recenti mail a Caterina, nostra socia e tramite con l’autore – che questa pandemia ci stia facendo girare in tondo. Dentro pioggia appiccicosa, in balia delle onde, in cui ci scopriamo perfettibili e non perfetti. Si chiama umanesimo. Ed è uno dei compiti del teatro.

Con profonda gratitudine

Alessia

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