Ballo al Kremlino da Curzio Malaparte, Teatro Sala Uno

Teatro Sala Uno, Roma, febbraio [foto di scena Tiziano Santin]

Il Ballo al Kremlino, romanzo incompleto pubblicato dopo la morte di Curzio Malaparte, è considerato dalla critica il testo che idealmente potrebbe comporre e chiudere in una trilogia i precedenti La Pelle e Kaputt, entrambi feroci, visionari e potenti ritratti dell’Europa nella II Guerra Mondiale.

Il Ballo si colloca storicamente appena un decennio prima, la Russia post rivoluzionaria. Siamo nel 1929, il giovane Curzio Malaparte direttore de La Stampa di Torino va in quella terra e scrive.

Kremlino

Scrive e racconta di quanto vede, e se per brevi lampi si affacciano alla sua visione – e alla visione del lettore –  gli operai e il popolo, il suo sguardo si concentra sui salotti, sui poitons e pettegolezzi della nuova classe politica salita al potere con la rivoluzione, quell'aristocrazia comunista – come avrebbe scritto – che aveva preso il posto dell'aristocrazia russa dell'antico regime, perché nei paesi senza libertà

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bisogna osservare di più come la gente sorride di non come declami in pubblico.

E allora ecco tra le beauties dell'alta società sovietica, la ballerina Semionowa, chiacchierata amante di Stalin e moglie del vice Commissario per gli Affari Esteri, il misterioso Karakhan l'eroe della rivoluzione in Cina, il più bell'uomo di tutta la Russia;  la frivola e scandalosa Madame Lunacarskij, discussa nei salotti per i suoi amori ed i suoi intrighi;  il biondo e roseo Florinskij, Capo del Protocollo del Commissariato del Popolo per gli Affari Esteri, che, imbellettato e incipriato, (…) percorre Mosca a bordo del suo tarlato landau;  e ancora, lontano dai salotti, lo sguardo doloroso e disincantato di Madame Kamenev, la sorella di Leon Trotsky, già consapevole della sorte toccata al fratello e al marito; la giovane Marika che accompagnerà Malaparte come interprete e traduttrice nel suo viaggio,  il poeta Majakovskij, cantore di quella Rivoluzione d'Ottobre che un colpo di pistola gli lascerà inchiodata eternamente nel cuore, Veronika, dama della Croce Rossa che sulla Smolenski Boulevard vende le sue mutande di pizzo ma non la sua dignità.

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Un affresco potente e visionario di una società su cui aleggia già lo spirito di epurazione che di lì a poco spazzerà tutto via e su cui si staglia l’immagine della mummia di Lenin,  piccola e rattrappita, per certi versi specchio di quel popolo ritratto mentre volge lentamente il viso verso l’occidente, un viso pallido, smunto, madido di sudore.

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