studi per giugno

Giuseppe Fava non è stato un eroe. E’ stato un uomo libero. Ce lo dicono le sue parole, la sua biografia, le inchieste, gli articoli, e più di ogni altra cosa

le rare occasioni in cui appare in video di repertorio, immediato, diretto, empatico, grande ammaliatore – era un uomo che si piaceva – certo, e piaceva anche alla gente, perchè la gente, non la moltitudine magari, ma quell’umanità se vogliamo semplice e scevra da sovrastrutture, sa riconoscere il vero dal falso. Giornalista, romanziere, pittore, drammaturgo, Giuseppe Fava è stato soprattutto un uomo instancabile, innamorato della vita, appassionato e vero. Impossibile non stare dalla sua parte, in ogni caso. I cinque colpi di Beretta che hanno messo fine alla sua vita, il 5 gennaio del 1984, dentro una sera che immaginiamo piovosa, mentre andava a prendere la sua nipotina che aveva appena debuttato in Pensaci Giacominoal Teatro Stabile di Catania, li sparò la Mafia certo, e fummo tutti complici: quell’umanità che nella sua drammaturgia appare spesso senza nome.

Un esercito di Omini al soldo di Vecchi senza un’identità riconoscibile in molti dei suoi testi, vecchi che sono il potere: silenzioso, logoro, onnisciente, sotto cui – appena più in basso – si fanno nomi e cognomi di Cavalieri e soldati semplici, nei cui confronti non c’è pietà e giudizio, bensì fatti. Fatti di cronaca: politica, appalti, fatti che raccontavano e raccontano, dietro ogni storia, dietro ogni omicidio, dietro ogni uomo, c’è un destino, e nei confronti di quel destino bisogna avere rispetto, senza giudicare. Questa, parafrasando, fu la prima lezione di giornalismo al figlio Claudio, ma qui il mestiere non c’entrava, avrebbe scritto Claudio all’indomani dell’omicidio del padre. L’editoriale, denso, è a firma di tutta la redazione de I siciliani, quei caruseddi che al seguito del loro direttore avrebbero dato vita ad un giornale libero, in una città, Catania, in cui la Mafia non c’era.

Catania era il salotto bene della Sicilia, la Milano del sud, la mafia è a Palermo, così sembra disse anche il Sindaco, all’indomani dell’omicidio, e presenziarono tutti, e furono dette tot avemarie, e lucide e agghiaccianti le parole di Fava, 8 giorni prima della sua morte, nella nota intervista a Biagi : sulle scranne della chiesa, a piangere i morti, sono spesso presenti anche gli stessi che li hanno fatti uccidere, i mandanti.  Ma qui non vogliamo parlare dei mandanti. Fava fu ucciso per questo, certo. Perchè era scomodo, perché scriveva. Perchè faceva nomi e cognomi, e amava la sua terra, di un amore viscerale, come si ama una puttana, che pure se lo sai che ti tradisce, non puoi fare a meno di sognarla.
Tu sogni Orlando, sogni, nel tuo teatro dei Pupi, e combatti battaglie senza più compagni attorno, ma non levategli i sogni ai Siciliani. Se ne vanno lontano, emigrano, vanno a fare i pupi dentro le miniere della Germania e del Belgio, se ne vanno in Australia, e into u core a mamma, vidi mammuzza ci siamo tanto preoccupati del vestito della domenica, di cose e di niente, e un giorni finiu a mamma. Giuseppe Fava. I vecchi, i cavalieri e i soldati semplici, e gli omini senza nome, quell’esercito di gente che siamo tutti, e che all’indomani dell’omicidio – omertosamente, per riserbo ? vergogna? comprensibile paura? – ha dimenticato. Di là dalle celebrazioni, dalle vie intitolate agli eroi – e che ce ne facciamo di questa modesta targa? – ha misconosciuto Giuseppe Fava, giornalista, scrittore, pittore, drammaturgo, autore di 17 testi teatrali, 17. Di cui diversi inediti, mai rappresentati.

Mai rappresentati.
In questo nostro teatro pigro, sonnolento, compiacente.
Talvolta anche ignorante, per pigrizia, diciamolo. Proprio nel significato del termine: non conoscente.
Stiamo studiando il teatro di Giuseppe Fava
E siamo onorati, felici, pieni di entusiasmo e di riconoscenza. Siamo curiosi e avidi di vita.
Siamo come tanti Orlando con la faccia nel vento.
Furiosi di parole. Entusiasti. Siamo gli omini, mai stati portaborse, che se alzano la mano, non è mestiere. E’ verità e coraggio.

[ qui devo citare un fatto: al (bellissimo) spettacolo “7 minuti” per la regia di Claudio Boccaccini, poche sere fa, presente io al Teatro Vittoria, tra il pubblico e col regista accanto (sic;), a fine replica, quella signora del Teatro che è Viviana Toniolo, fuor di quarta parete, ha chiesto al pubblico da che parte si sarebbe schierato: i giusti o ignavi per la farla breve. La pletora di mani si è schierata coi giusti, a trovarvisi ho commentato tra me, e meno sommessamente tutti eroi, mentre tentennavo col braccio]

Ce ne andiamo a fare un bagno a mare?
Si direttore.

Sempre.

alessia

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