Egò
Quarticciolo, 23 giugno 2019
Progetto Iliade V studio

[crellyslider alias="ego_crelly"]

Drammaturgia e Regia
Alessia Oteri
assistente alla regia
Francesca Consiglio

con: Sabrina Attanasio, Giuseppe Bernardini, Manuela Cimino, Simone Cotumaccio, Valentina Cristini, Mena Di Siena,  Eleonora Fradani, Fabrizio Lugaresi, Calogero Martello, Tiziana Mezzetti, Sabrina Ottaviani, Maria Parente, Antonella Pulcini, Andrea Ranieri, Stefania Raschiatore.

La figura di Achille, il destino che gli è stato assegnato, morire giovane e in battaglia, sono il tema di questo quinto studio sull’ Iliade. Un percorso di iniziazione e crescita che vede al centro la figura dell’eroe, la cui ira è la causa prima della disfatta degli Achei durante gli ultimi 51 giorni della guerra di Troia. Un’occasione per soffermarsi ancora su un’altra delle tematiche che sembra attraversare il testo, l’identità dell’eroe omerico quale un tutt’uno con la forma cui è destinato, con tutti gli scarti di senso che questo comporta.

L'identità dell'eroe omerico si fonda sull'onore, la gloria, la fama, cui si contrappone la vergogna del mancato riconoscimento agli occhi degli altri. Il destino è un disegno che neppure gli dèi possono cambiare, un cammino ineluttabile fatto di dolore, maturazione, accettazione. E poi ci sono le armi: la corazza, l'elmo, le belle gambiere. Forse una maschera, forse un'identità autentica.
Egò è il «romanzo di Achille». Così ha definito l'Iliade Maria Grazia Ciani nella meravigliosa analisi che ci ha accompagnati.

I miei occhi, il tuo sguardo

soltanto una volta muore l'eroe, mille volte muore il codardo. I miei occhi, il tuo sguardo, essere sempre il primo, eccellere ancora una volta, tra tutti. Per sempre, ricordati nel canto.

Da questa prima suggestione prende avvio il nostro quinto studio. L'identità dell'eroe, strettamente connessa ai concetti di aretè, timè, si fonda in primo luogo sulla posizione sociale che questi riesce a guadagnarsi agli occhi degli altri. Tutte le sue azioni sono in funzione dello sguardo altrui: la società in cui si muove l'eroe omerico è quella società che mette in cima ai suoi valori l'eccellenza - lo status è un qualcosa che si conquista non solo e non tanto per nascita, quanto attraverso le azioni che l'eroe compie in primo luogo in battaglia. Il gheras, la parte del bottino di guerra che veniva assegnata dopo una battaglia agli eroi più meritevoli, contribuisce ad accrescere il valore e l'onore dell'uomo omerico.

L'ira di Achille, con cui principia il racconto del poema degli ultimi 51 giorni della guerra di Troia, è scatenata da questa sottrazione - la schiava Briseide che Agamennone chiede per sé sottraendola ad Achille.
Il racconto dei fatti e quel che ne consegue è nelle parole della seconda scena del nostro studio:

 

 

La perdita di Briseide è per Achille perdita ben più grave della sottrazione di una schiava di guerra. L'eroe si ritira dalla battaglia, abdica temporaneamente al destino segnato che gli è stato profetizzato dalla madre Teti: tra due forme possibili sceglie quella più umana di morire a Ftia, in vecchiaia, lontano dai clamori della battaglia. La sua identità non è più legata a quella cui ogni eroe è destinato. Si spoglia delle armi - che rappresentano un tutt'uno con l'immagine di sè - sceglie un'altra identità e un'altra pelle.

Ride la terra ai lampi del bronzo

luce e suono è la guerra, rimbombo di armi, splendore di scudi e di lance, vampa di fuoco lampo accecante. Splendono gli eroi vestiti di bronzo abbagliante, ogni guerriero è folgore, ogni guerriero è forma assoluta che vibra ai confini dell’ombra.

Il racconto prosegue con il valore che le armi rappresentano. Le armi sono in tutto e per tutto per l'eroe una seconda pelle. Le vestizioni - che nell'Iliade sono quattro, quelle di Paride, Agamennone, Patroclo e in ultimo nuovamente Achille, seguono uno schema ben preciso, sempre uguale, che ha il carattere della ritualità. L'identità dell'eroe è un tutt'uno con le sue armi. Essere privati delle armi, era l'onta maggiore cui spesso erano sottoposti i corpi dei vinti.

[Foto di scena : Tiziano Santin ]

Le armi, il corpo

questo è tutto quanto possiedo questo è tutto quanto non posso perdere. Ferito dai colpi, che mi si lasci intatto, al riparo di polvere e sangue [...] che mi si immoli integro e perfetto sul fuoco, al riparo dei cani e gli uccelli, delle zampe dei cavalli in battaglia, del sudiciume della terra.

Il romanzo di Achille prosegue nelle parole del testo.  L'eroe, creatura semidivina, uomo indispensabile all'esercito acheo, emblema di tutti i valori eroici, dopo essersi ritirato dalla guerra, scompare dalla scena dell'Iliade per nove canti. Gli Achei vivono una disfatta senza precedenti, anche per volere di Zeus che irato fa pendere la sua bilancia in favore dei Troiani.
Privato del suo status di eroe Achille accoglie l'ambasciata di Agamennone che lo invita a riprendere il suo posto nell'esercito. Ma la forma è ormai incrinata. L'eroe non può tornare a combattere. Sceglie di mandare Patroclo al suo posto, l'amico, l'amato fratello.

[Foto di scena : Tiziano Santin ]

Richiamati alla battaglia, i Mirmidoni, l'esercito di uomini rudi al comando di Achille, immediatamente si armano. L'eroe li incita, attraversa il campo di tenda in tenda esortandoli a combattere:  e questi - per troppi giorni trattenuti alle navi, come lupi si radunano attorno a Patroclo che ora veste le armi di Achille.

Con le armi di Achille, Patroclo si batte contro i Troiani, e contravvenendo ai suggerimenti dell'eroe si spinge nel vivo della battaglia, dove trova la morte per mano di Ettore. E' uno dei momenti più alti e strazianti dell'opera. La "forma" di Achille si spezza del tutto.

Immobile, stupefatto

cade a terra l’eroe per mano di Apollo, colpito alla schiena, la mente si confonde, il corpo perde ogni forza. "Per tre volte incontro alla sorte, per tre volte mi hai mandato a combattere Achille, amato fratello con le tue armi indosso e simile a un dio mi sentivo e simile a un dio e a te amato figlio di Peleo tre volte mi sono scagliato contro i Troiani e nove uomini ho ucciso con le tue armi addosso, io Patroclo figlio di Menezio.

Dopo la morte di Patroclo, Achille decide di tornare a combattere. Ma non può farlo con le vecchie armi,  la sua identità non può più riconoscersi nella sua antica forma. Per vendicare il compagno, Achille dovrà allora indossare nuove armi, simbolo di un Sè più autentico e cresciuto. Sarà il dio Efesto, su invito di Teti, a forgiare le nuove armi di Achille. Saranno quelle a suggellare la sua nuova identità, la forma nuova che sposerà in tutto e per tutto il destino di morte per cui l'eroe è venuto al mondo.

E allora Teti, la madre, gli disse di Achille

Del suo corpo spogliato, di Agamennone e Patroclo. E subito si mise al lavoro Il dio zoppo : "Non temere , come vorrei sottrarlo alla morte tremenda quando verrà il destino crudele, ma per lui costruirò armi bellissime che saranno meraviglia per gli uomini".

La ménis, l'ira che aveva aperto il poema, diventa chòlos, rabbia smodata che si traduce nello scempio del cadavere di Ettore.

Da ultimo l'ira si placa. L'eroe, piegato dalle suppliche di Priamo, restituisce il corpo martoriato di Ettore. Il cammino è compiuto: Achille ha ritrovato la sua "forma" ed è pronto ad affrontare il proprio destino.

[Il video completo dello spettacolo]

Torna in alto